Tradizioni Arbëreshe
Usi e costumi del popolo italo-albanese di Calabria, una delle etnie più radicate nel territorio
Con il termine ‘Arbëreshe’ si definisce una popolazione di lingua e cultura albanese che vive nell'Italia meridionale, che qui giunsero tra il XV e il XVII secolo: nel corso del tempo, nonostante i contatti con la cultura italiana, sono riusciti a mantenere la propria identità albanese, grazie anche al ruolo culturale esercitato dai due Istituti religiosi di rito orientale. La tradizione arbereshe, intesa come il trasferimento e la inevitabile fusione dei caratteri culturali albanesi ed italici, è un insieme di usanze, dialetti, costumi (ne parliamo più diffusamente in [Costumi tradizionali arbereshe] ) e miti (su tutti quello di Skanderbeg, Giorgio Castriota) che nei paesi arbereshe vengono gelosamente custoditi ancora oggi.
In Calabria, secondo studi storici consolidati, il primo trasferimento degli Albanesi risale al secolo XV, quando Alfonso I d'Aragona ricorse ai servizi di Demetrio Reres, nobile condottiero albanese, che portò con sé un folto seguito di uomini. La ricompensa per i suoi servigi consistette nella donazione, nel 1448, di alcuni territori nella regione.
Secondo le fonti, Demetrio Reres venne in Calabria per riportare all'obbedienza i baroni che si erano ribellati alla sua autorità, alla cui testa vi era il marchese Antonio Centelles. Demetrio Reres giunse quindi al comando di un gruppo di uomini armati che, come in uso a quel tempo, portarono con sé le loro famiglie. Per ricompensa dei servigi resi, il Re di Napoli lo nominò Governatore della Calabria. Centelles fu sconfitto nel febbraio del 1445: è a questo periodo, infatti, che risalgono i primi insediamenti albanesi, che avvennero su territori confiscati allo stesso Marchese Centelles. I suoi uomini si distribuirono in diversi paesi della provincia di Catanzaro andando a ripopolare casali al tempo abbandonati, dando vita, così, ad un’opera di bonifica e rivalutazione del territorio: i primi insediamenti furono Amato, Andali, Arietta, Vena e Zangarona, seguiti da Caraffa, Carfizzi, Pallagorio San Nicola dell'alto e Gizzeria.
La migrazione degli Albanesi verso la Calabria ed il Sud Italia fu favorita da due importanti eventi nella storia del Paese: il matrimonio tra Irene Castriota e il principe di Bisignano in Calabria, nel 1470, e la caduta della città di Kruja nel 1478. Il matrimonio tra Luca Sanseverino ed Irene, pronipote dell’eroe Skanderbeg, è rievocato ancora oggi nelle strade del paese con un grande corteo in abiti d’epoca, nell’ambito delle manifestazioni di contorno al Palio di Bisignano che si svolgono la penultima domenica di giugno: per quel tempo quelle illustri nozze rappresentarono un’eccellente mossa nella cosiddetta ‘strategia matrimoniale’ dei nobili calabresi.
Per quanto concerne invece la caduta di Kroja (in italiano anche Croia, in arbereshe Kruje) in mano turca, questa ebbe una valenza più psicologica che politica: qui, infatti, era nato Skanderbeg, che per la sua città natale si era battuto sino all’ultimo, infondendo così negli albanesi di Croja una fiducia ed una tenacia tali da farli resistere per 5 lunghi mesi di assedio. La resistenza di Croia divenne proverbiale in tutta Europa per decenni e gli albanesi ne fecero il simbolo della propria identità culturale e territoriale. La sua caduta in mano turca significò quindi per gran parte delle persone anche la necessità di trovare nuovi luoghi per la propria indipendenza.
L'ultima grande ondata migratoria si ebbe in seguito alla conquista da parte dei Turchi di un’altra importante fortezza albanese, quella di Corone, nel 1533-34. Gli albanesi trasferitisi mantennero la religione cristiana di rito ortodosso e questo è tuttora uno dei tratti caratterizzanti dell’etnia albanese sia rispetto alla restante popolazione sia riguardo agli albanesi rimasti in patria.
In Calabria la lingua albanese (arbereshe) è parlata in 34 centri, fra comuni e frazioni: 25 si trovano in provincia di Cosenza 3 in provincia di Crotone e 6 in quella di Catanzaro
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