Costumi tradizionali arbereshe
I preziosi vestiti della cultura italo-albanese in Calabria
I vestiti tradizionali arbereshe sono tra gli elementi più caratteristici della cultura italo-albanese in Calabria insieme alle tipiche ritualità religiose (su tutte il matrimonio con il suggestivo scambio delle corone secondo il rito greco-bizantino) ed alla lingua “arberisht”. I costumi di Arberia, dunque, sono una parte importante dell’eredità che i profughi del XV secolo hanno portato con sé dalla Madrepatria albanese. Come nella lingua anche nei costumi ci sono differenze da centro a centro e, nonostante le chiare analogie stilistiche, gli abitanti dei singoli paesi arbereshe sono soliti precisare come gli abiti tradizionali della propria comunità differiscano dagli altri per la particolare foggia di un accessorio o per una specifica combinazione di colori.
Quando si parla di vesti tradizionali si pensa subito a quelle femminili: ciò è tanto più vero per quanto riguarda la cultura arbereshe dove l’abito maschile ha perduto ben presto le proprie specificità assimilandosi a quello dei calabresi. Nelle rappresentazioni odierne in cui sono usati gli abiti tradizionali arbereshe gli uomini usano quelli tradizionali albanesi oppure quelli calabresi: giacca corta di velluto, pantaloni dello stesso materiale stretti dal ginocchio in giù, lunghe calze di lana e scarpe allacciate sino al ginocchio.
I costumi femminili arbereshe (detti “stolite”) sono invece molto più elaborati e ricchi, realizzati in seta e raso e con vistosi ricami in fili d’oro e d’argento: la loro sfarzosità ha fatto ipotizzare che fossero in origine delle vesti signorili indossate solo dai nobili. In ogni caso il vestito era la cosa più importante e preziosa per una donna italo-albanese, perché la accompagnava nei momenti più significativi della propria vita.
A partire dagli Anni Sessanta l’uso dei costumi tradizionali è andato scemando insieme a molte altre tradizioni, come ad esempio la cerimonia del fidanzamento in cui si inscenava il rapimento dell’amata da parte del futuro marito. Molte donne, alla vigilia del boom economico, iniziarono a vestire “all’italiana” o da “zonje” (“da signora”) per ragioni di praticità, ma oggi si assiste ad una riscoperta del valore culturale e storico di questi caratteristici abiti.
Il vestito della festa (o di gala) è senza dubbio il più fastoso ed elaborato nonché il più raro: oltre ad essere indossato per le nozze, per le feste religiose (come le “Vallje”, la Domenica di Pasqua o il giorno di Natale) e per i lutti familiari (per i primi tre giorni dal triste evento) veniva sovente anche utilizzato per dare una degna sepoltura alla donna. Si caratterizza anzitutto per una camicia bianca con merletti denominata “Linja” e caratterizzata da un’ampia scollatura che viene coperta da un panno di tulle e lino detto “Petini”. Attorno al collo si trova la “Skola”, una cravatta di raso intarsiata con ricami in oro e fissata alle due estremità da spille anch’esse in oro.
La parte superiore del costume di gala arbereshe è completata dallo “Xhipuni”, un corpetto azzurro con lamine in oro ed ampi ricami, e dal “Pani”, uno scialle in raso ricamato anch’esso con filo d’oro. La parte inferiore era costituita anzitutto da una sottana detta “Sutanini” su cui è posta la gonna vera e propria, la “Kamizolla”, di raso setato, di un colore fucsia o rosso vivo in abbinamento al “Pani” ed ornata da un ampio bordo in oro detto gallone. Sopra di essa viene indossata la “Coha” (o “Zoga”), un’altra gonna plissettata di colore azzurro o blu che, avendo il bordo inferiore rialzato, lascia vedere la “Kamizolla” sottostante.
In alcuni centri arbereshe come San Basile (o Shen Vasilit, a cui si riferiscono le immagini sopra) al posto della Coha si può trovare un grembiule di seta, detto “Vandilija”, anch’esso ornato da elaborati merletti. Frequenti, anche se non propriamente parte del costume tipico degli italo-albanesi di Calabria, è l’uso del velo (Velli) per coprire la lunga chioma delle donne. Se usato come abito da sposa, poi, il vestito della festa arbereshe era caratterizzato da un prezioso fermaglio per capelli, la “Keza”, intarsiato da elaborati ricami col filo in argento con cui si fermavano complesse acconciature nuziali dietro la nuca.
Indossare l’abito della festa era un modo per sottolineare l’importanza dell’occasione: era per questo che una donna lo faceva solo poche volte nel corso della vita. C’era poi il vestito di mezza festa, un capo meno prezioso di quello di gala ma pur sempre molto decorato e gelosamente custodito. Il costume di mezza festa arbereshe è costituito dalla “Linja” abbinata ad una gonna meno sfarzosa detta “Kamizolla me tren”, ricamata però in ogni caso con fili d’oro, sopra la quale è portata una gonna pieghettata simile alla “Coha” ma in raso, detta “Kandsushi”. Il corpetto è molto simile ma è scuro ed in castoro (si chiama infatti “Xhipuni Kastori”): presenta ampie decorazioni in lamine d’oro sui polsi e sulle spalle. Completano l’abito di mezza festa italo-albanese la “Vandilja” ed un “Pani” di lana.
Una caratteristica importante dei costumi tipici arbereshe è rappresentata dai gioielli che, pur non potendosi considerare parte integrante del vestiario, erano una costante ogniqualvolta si indossavano i costumi di festa e di mezza festa. Tra gli ornamenti più frequenti, tutti rigorosamente d’oro puro, troviamo le spille, gli anelli, i bracciali e le lunghe caratteristiche catene, dette “Llashi”, fermate ai lati della camicia da gradi spille. Spesso le donne portano al collo immagini sacre o le foto dei mariti scomparsi, mentre tra le decorazioni vi è una netta prevalenza dei motivi floreali.
(si ringrazia l’Assessorato alla Cultura del Comune di San Basile per le informazioni ed il materiale fotografico gentilmente fornitoci)
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