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Tradizioni Pasquali in Calabria

Riti ed usanze della Pasqua calabrese.

La Pasqua, in Calabria, è una delle festività più sentite, in alcuni luoghi ancor più che il Natale. La religiosità, ancor molto presente specie nei paesi, è certo una delle ragioni del successo delle festività pasquali tra i calabresi, ma non bisogna neanche dimenticare quanto siano radicate le tradizioni popolari in questa terra. La Pasqua è il periodo in cui si organizzano diverse manifestazioni folcloristiche che affondano le proprie radici nella tradizione pre-cristiana e non di rado questa commistione è visibile nelle rappresentazioni della Crocifissione del Venerdì Santo, in alcuni luoghi unite alle celebrazioni della Via Crucis. In Calabria quasi ogni paese organizza una manifestazione pasquale secondo le usanze del posto: ovunque si svolgono processioni, veglie di preghiera e la benedizione dei sepolcri, ma sono le feste popolari ad attirare maggiormente cittadini e turisti, senza dimenticare l’appeal dei dolci tipici della Pasqua calabrese.

A Pasqua i calabresi amano preparare dolci tradizionali molto gustosi e dal grande valore simbolico. Ad essi dedicheremo un articolo a parte; per ora ci limitiamo a menzionare i famosi cuculi, detti anche cuzzupe o cuddhuraci, i crustuli, le nepitelle, i mostaccioli, i cici arbereshe ed i jaluni grecanici.

Per quanto concerne invece le tradizioni popolari, vogliamo proporvi un piccolo excursus di queste manifestazioni pasquali tra le cinque province calabresi. Le rappresentazioni si svolgono prevalentemente la sera del Venerdì Santo o la mattina del Sabato. Il filo conduttore di queste cerimonie è il dolore per la morte del Signore e ciò si traduce in nenie struggenti che fanno da sottofondo musicale alle rappresentazioni: a Decollatura ((Catanzaro)), ad esempio, questi particolari canti funebri sono chiamati “u chiantu de Maria” (il pianto di Maria) ed accompagnano la processione delle statue.

Molte delle tradizioni calabresi legate alla Pasqua sono imperniate sulle statue processionali: solitamente viene portata in spalla la statua della Madonna Addolorata, ma a Briatico ((Vibo Valentia)), così come in altri posti della Calabria, viene portata in solenne processione la Vara, una sorta di portantina che rappresenta la bara del Cristo Morto. La processione è preceduta da un compaesano in tunica che porta una pesante croce di legno sulle spalle. A Satriano (CZ), invece, questa parte della cerimonia vede la presenza non del Cristo bensì del Cireneo, che trascina la croce tra due ali di folla che prega e suona le “Traccette”, strumenti di musica popolare in legno.

A Cerchiara di Calabria ((Cosenza)) ad essere portata in spalla dai fedeli è la statua di San Giovanni Evangelista, preceduta dall’esposizione di un gallo vivo, simbolo pagano di forza e rigogliosità. A Vazzano (VV) i protagonisti del corteo pasquale sono i frati membri della locale congregazione, che per l’occasione indossano una corona di spine e si incatenano le mani, mentre i fedeli disegnano il loro percorso tenendo in mano torce accese realizzate con fiori raccolti in montagna. Il rito della fiaccolata di Pasqua è presente anche nella tradizione di Pizzo Calabro, dove si porta in processione la statua della Madonna Addolorata che, simbolicamente, si reca al sepolcro del Figlio.

La rappresentazione della vicenda evangelica attraverso le statue in Calabria trova l’espressione più caratteristica nella cosiddetta “Affruntata”, cerimonia tipica delle province di Vibo e Reggio Calabria. L’Affruntata (o Affrontata) consiste nel portare in solenne processione le statue di Gesù, di San Giovanni e della Madonna, quest’ultima coperta da un velo nero in segno di lutto. Le statue vengono avvicinate e riallontanate più volte al fine di riprodurre l’episodio dell’annuncio della Resurrezione di Cristo, comunicata dall’apostolo Giovanni a Maria che con lui si precipitò al sepolcro. Questi movimenti, piuttosto semplici, sono provati a lungo nei giorni precedenti per far sì che tutto proceda per il meglio: a complicare le cose, però, c’è la diffusa usanza di velocizzare i movimenti ad ogni ripetizione. Le statue sono piuttosto pesanti e la ressa tutta attorno non rende agevoli gli spostamenti, specie se repentini: ma se qualcosa va storto, ciò sarà interpretato dalla cittadinanza come un cattivo presagio.

Portare le statue, nell’Affruntata o nelle normali processioni di Pasqua, è un onore a cui i calabresi tengono molto: è facile immaginare come l’assegnazione dei pochi posti disponibili sia, nei paesi, motivo di forte competizione. In alcuni casi, onde evitare un insuccesso con quanto ne consegue, gli organizzatori prediligono criteri fisici: altezza, robustezza e gioventù. Molto più spesso, però, entrano in gioco altri “parametri”. Talvolta a fare da portantini ai Santi sono esponenti di famiglie importanti nel paese e questo è solo uno dei tanti privilegi acquisiti nel tempo e tramandati da generazioni.

In altri casi, come a Dasà e a Sant’Onofrio, si svolge l’Incanto, una vera e propria asta per comprare tale onore. Originale, poi, quel che succede a Sambiase, presso Lamezia Terme, dove ogni statua è portata da rappresentati di una categoria sociale: Gesù nella vara dai religiosi, Gesù nell’orto dai contadini, Gesù alla colonna dai muratori, Gesù con la corona di spine dai barbieri, il Crocifisso dai falegnami e San Giovanni dagli impiegati.

A Cassano allo Ionio la Pasqua è celebrata al suono delle “Buccine”, sottili strumenti a fiato simili a trombe ricurve, e delle “Troccole”, strumenti popolari in legno, che accompagna la sfilata delle verginedde – bambine in tunica guidate da una donna vestita di bianco e incappucciata che trascina una pesante catena – e dei “Disciplini”, uomini in bianco incappucciati anch’essi che si percuotono con un flagello di metallo.

L’auto-flagellazione è alla base del più noto rito pasquale in Calabria, i Vattienti (o Battenti) di Nocera Terinese: si tratta di uomini con le gambe scoperte che si percuotono con violenza le cosce fino a sanguinare copiosamente inondando le strade e gli spazi antistanti le porte delle case con il loro sangue. Per far aumentare il sanguinamento si flagellano con uno strumento chiamato “cardo”, costruito con sughero e pezzi di vetro tagliente. Lo spettacolo che ne scaturisce non è adatto a tutti e può facilmente impressionare i più piccoli, ma è di certo una delle tradizioni pasquali calabresi più conosciute.

(si ringrazia il portale web www.tropeaedintorni.it per il materiale fotografico gentilmente concessoci)

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